Lo specchio, amico e nemico. Ci sono giorni in cui ci guardiamo allo specchio e poi usciamo di casa, soddisfatte. Altri in cui lo specchio ci rimanda qualche difetto, un abito che tira, i capelli che non stanno,…. E allora quello sguardo ci accompagna tutto il giorno e ci lascia un po’ di amaro in bocca. Ma perché lo specchio ha così tanto potere sul nostro umore e cosa si nasconde dietro?
Guardarsi allo specchio e non riconoscersi: cosa significa
Lo specchio ha una potente valenza emotiva. È un oggetto d’uso quotidiano, ma è anche un simbolo dei nostri stati d’animo, dell’età che avanza, dei bilanci della nostra vita, del livello di accettazione che abbiamo di noi stesse.
È davanti allo specchio che sorridiamo all’altra donna, quando non abbiamo ceduto ad un compromesso, quando la giornata inizia con il piede giusto, quando abbiamo preso una decisione difficile o abbiamo risolto un problema. È ancora lì che ci sono giorni in cui scrutiamo ogni segno del tempo, che analizziamo pori e imperfezioni, che guardiamo con disapprovazione quei pantaloni che non ci valorizzano, quell’abito che mostra qualche rotolino in più. Allo specchio vedi solo quel difetto, hai paura che tutti lo notino, ma alla fine sei tu a giudicarti con eccessiva severità.
Lo specchio ha significati che vanno ben oltre l’oggetto in sé e può essere uno strumento di crescita e consapevolezza.
Ti permette di lavorare sulla propriocezione e l’immagine corporea. Sì, abbiamo detto proprio “propriocezione”, che come ci spiega wikipedia è “la capacità di percepire e riconoscere la posizione del proprio corpo nello spazio e lo stato di contrazione dei propri muscoli, senza il supporto della vista. Descritta da Charles Scott Sherrington è considerata un sesto senso in quanto è regolata da una parte specifica del cervello” Ognuno di noi ha un’immagine corporea di sé. Se riuscissimo a restare fedeli a questa immagine i modelli culturali non sarebbero in grado di influenzarci, o non esisterebbero affatto in quanto tali. Lo specchio è in qualche modo il tuo lasciapassare nel rapporto verso l’altro. Ed è nel rapporto con l’altro che subentra la paura del giudizio. Guardarsi allo specchio significa esporsi a se stessi, lavorare sull’accettazione e sui modelli che alterano il nostro rapporto con il corpo.
Paura di guardarsi allo specchio: situazione comune, che puoi superare
Sì, è soprattutto lo specchio che ci mette davanti ad un fastidioso senso di colpa per quelle linee troppo rotonde, frutto forse di nostri errori o forse solo di uno Stile di Vita da rivedere. Questo giudizio deriva dall’ambiente socio-culturale in cui siamo immerse e che ci porta a fare confronti con stereotipi che appartengono al nostro tempo, ma che sono effimeri come il tempo stesso. Ad esempio quando ci guardiamo allo specchio e i nostri occhi non vedono altro che dei fianchi troppo larghi, sappiamo che possiamo agire in due direzioni: possiamo fare attività fisica e mangiare sano e sicuramente otterremo dei risultati. Possiamo però anche raggiungere la consapevolezza che quei fianchi sono parte della nostra struttura fisica e sono parte di noi. Tutto il resto sono giudizi, stereotipi e condizionamenti.
La bellezza sta negli occhi di chi guarda, ma soprattutto è un concetto relativo, profondamente culturale e in evoluzione. Nel Novecento i canoni sono cambiati decennio dopo decennio, via via sempre più veloci tanto da mutare alla velocità della fibra ottica.
Nei Ruggenti Anni Venti la figura della donna considerata bella era androgina, negli anni Cinquanta formosa e dai seni maggiorati, negli anni Sessanta era quella magrolina della modella Twiggy e di Audrey Hepburn. Negli anni Settanta arrivarono le Charlie’s Angels, negli Ottanta le supermodelle dai corpi atletici, nei Novanta i visi emaciati e i corpi pallidi e quasi invisibili dell’estetica heroin-chic. E questo solo in Occidente, perché i canoni di bellezza italiani ed europei sono ben diversi da quelli dell’Estremo Oriente o del Sud America.
Ogni Donna ha la sua linea: il corpo oltre il giudizio allo specchio
Abbiamo la sensazione che la globalizzazione abbia portato con sé una omologazione del concetto di bellezza a cui adeguarsi, ma è anche vero che siamo nell’era della body positivity e che l’amplificazione delle comunicazioni ha portato con sé un’infinità di sottoculture e di comunità che si riconoscono in canoni differenti. Oggi più che mai si può essere se stessi e affermarlo a voce alta, innalzando la diversità a valore e l’individualità a punto di orgoglio.
Nessuna donna è uguale all’altra, e per fortuna, o vivremmo in un mondo da incubo, tutto uguale e popolato da un esercito di cloni. Non esiste una sola bellezza, come non esiste un solo modello di donna, quindi che senso ha investire tempo, denaro, dolore e sudore per assomigliare ad uno stereotipo? O peggio a qualcun altro?
Rispetto alle generazioni precedenti, i giovani d’oggi, troppo spesso vituperati, hanno segnato una vittoria sul fronte dell’accettazione. I canoni di bellezza per le nuove generazioni, in particolare per la Generazione Z, non hanno praticamente nulla in comune con quelli del passato, della perfezione estetica e dell’omologazione, anzi. Rifiutano un canone, non individuano la “perfezione” ed evitano così di sentirsi inadeguati e insoddisfatti del proprio aspetto, puntando tutto sulla personalità e sull’espressione di sé stessi.
Una nuova corrente si sta affermando nel dibattito pubblico e nel mondo dei social, e al concetto di positività sostituisce quello di neutralità: si comincia a parlare di body neutrality. Il concetto circola dal 2015, sviluppato dalla life coach Anne Poitier, che cambia punto di vista sulla questione: «La body positivity è ormai un grande movimento che ci invita ad amare i nostri corpi, ma non riesce comunque ad andare all’origine dell‘insoddisfazione dilagante», dice in un’intervista.
Body neutrality, neutralità del corpo, significa considerarlo invece solo per le sue funzioni, liberandosi completamente da considerazioni di tipo estetico come forma, taglia, misura… l’unica via per accettare e amare se stessi azzerando lo standard esteriore in favore di altre metriche. La fisicità delle persone esiste, ma il problema è solo il giudizio che si ha di essa e la misura con cui la si valuta: un metro “funzionale” implica non l’accettarsi per forza e ad ogni costo, ma prendersi cura di sé e delle nostre potenzialità.
Novembre mese della linea: il tuo benessere con il Metodo Figurella
Una cosa è la bellezza, e il sentirsi belle, non subire discriminazioni o essere schernite o emarginate per una diversità, un’altra è sentirsi bene ed essere in forma, quindi sani. È facile farlo a 20 anni, più difficile se si trascurano problemi come il sovrappeso o quando i frutti di anni di sedentarietà cominciano a pesare sul fisico, facendoci sentire magari sempre belle, ma non proprio così bene come pensavamo.
Dal dover quasi per forza accettare in senso positivo il nostro corpo, l’attenzione viene quindi spostata sulle cose positive che il corpo ci permette di fare: muoverci, abbracciare, camminare, saltare, goderci la vita senza limitazioni ed essere sani e in forma.
Accettare l’unicità del proprio corpo significa per noi combattere la sedentarietà, amare la scatola che ci contiene e rispettarla e far comprendere alle donne l’importanza di mantenersi in forma per vivere a lungo ed essere davvero attive nella maniera giusta, attraverso l’adozione di un corretto Stile di Vita. Non è una linea rigida, non è uno stereotipo, è la linea della Vita, quella che ci sostiene ci permette di guardarci allo specchio con amore, certi che stiamo facendo tutto quanto in nostro possesso per vivere più a lungo, in salute e combattendo l’inattività. Lo Stile di Vita è la nostra linea vincente, da 40 anni.